Le nebulose planetarie

Cranium Nebula, Ghost of Jupiter Nebula e Little Dumbbell Nebula
Tre nebulose planetarie: da sinistra: Cranium Nebula, Ghost of Jupiter Nebula e Little Dumbbell Nebula. Photo credit: NASA/JPL-Caltech/Harvard-Smithsonian CfA

Le nebulose planetarie rappresentano le ultime tappe dell’evoluzione stellare (almeno per stelle simili al Sole). In esse gli strati esterni di gas sono illuminati dalla luce ultravioletta prodotta dalla debole stella centrale che li ha espulsi.

In realtà il termine ‘nebulosa planetaria’ è improprio. Infatti, durante le prime osservazioni, la struttura a disco e la simiglianza con i pianeti gassosi Urano e Nettuno hanno portato erroneamente a pensare ad un collegamento con una struttura planetaria.

La nebulosa planetaria ‘Cranio’  PMR 1 (Cranium Nebula)
La nebulosa planetaria ‘Cranio’ PMR 1 (Cranium Nebula).

Tutte le stelle di piccola e media massa (come il nostro Sole) subiranno un destino simile. Ma, a seconda della massa della stella, essa esaurirà il proprio carburante in un tempo variabile tra i milioni e i miliardi di anni. E, controintuitivamente, sono proprio le stelle più grandi che vivono meno: esse infatti sono delle enorme fornaci che bruciano molto più velocemente delle loro sorelle più piccole. Per paragone possiamo pensare ad una Ferrari e ad una vecchia 500: quest’ultima pur essendo più piccola consumerà molto meno grazie al suo motore (appena 500cc) di potenza inferiore.

Ma torniamo alle stelle… Man a mano che le scorte di idrogeno all’interno della stella si consumano, le reazioni di fusione nucleare iniziano a diminuire. Così facendo si rompe il delicato equilibrio tra gravitazione e la pressione stessa dei gas caldi. La stella infatti inizia a bruciare i gas presenti nella sua parte più esterna. Poiché la sorgente di energia è più vicina alla superficie, la stella inizia ad espandersi, trasformandosi gradualmente in una gigante rossa. A questo punto la stella inizia una serie di pulsazioni a causa dell’instabilità del nuovo ciclo di combustione dell’elio. La stella si espande e contrae sempre più finché non espelle radialmente gli strati esterni. Essa ancora non è morta, ma rimane al centro di questa nube circolare. Infine è proprio grazie alla sua luce ultravioletta che i gas vengono eccitati rendendo visibili immense distese di gas fluttuante e accentuandone la bellezza.

Mostriamo ora alcuni esempi pratici di tre nebulose planetarie con caratteristiche diverse: la Cranium Nebula PMR 1, la Ghost of Jupiter Nebula NGC 3242 ed infine Little Dumbbell Nebula NGC 650.

La nebulosa planetaria ‘Fantasma di Giove’, nota anche come NGC 3242 (Ghost of Jupiter Nebula)
La nebulosa planetaria ‘Fantasma di Giove’, nota anche come NGC 3242 (Ghost of Jupiter Nebula).

Nebulosa ‘Cranio’ (Cranium Nebula)

Più formalmente conosciuta come PMR 1, questa nebulosa planetaria si trova a circa 5.000 anni luce di distanza dal nostro pianeta, nella costellazione della Vela. All’interno della nebulosa c’è una calda e massiccia stella morente che sta rapidamente perdendo la sua massa. La parte più interna della nebulosa appare rossa ed è costituita principalmente da gas ionizzato. Il guscio esterno, composto da molecole di idrogeno incandescente, è più freddo e di colorazione verdastro.

Nebulosa ‘Fantasma di Giove’ (Ghost of Jupiter Nebula)

Questa nebulosa planetaria, nota anche come NGC 3242, si trova circa 1.400 anni luce di distanza da noi, nella costellazione dell’Idra. L’immagine ad infrarossi mostra il freddo (ma vermiglio) alone esterno della stella morente. Anelli concentrici possono essere visti intorno all’oggetto; essi sono formati da altro gas che viene periodicamente espulso durante la morte della stella.

La piccola nebulosa Manubrio (Little Dumbbell Nebula)

La piccola nebulosa Manubrio NGC 650 (Little Dumbbell Nebula)
La piccola nebulosa Manubrio NGC 650 (Little Dumbbell Nebula).

Conosciuta anche come NGC 650, questa nebulosa planetaria è a circa 2.500 anni luce dalla Terra, nella costellazione di Perseo. NGC 650 ha una forma bipolare che rassomiglia una farfalla. Essa è dovuta a uno spesso disco di materia che orbita intorno alla stella (nell’immagine dal basso a sinistra all’alto a destra). Veloci venti stellari soffiano questi gas lontano dalla stella formando delle nuvole verdi e rosse (più fredde) di idrogeno incandescente.

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Informazioni sull'autore: Gian Luigi Somma

Gian Luigi è un ingegnere aerospaziale e astronautico con un PhD svolto nel campo dei detriti spaziali. Nella sua carriera ha lavorato in progetti con l'agenzia spaziale europea (ESA), l'agenzia spaziale tedesca (DLR) e con l'Università di Cambridge. Dal 2019 ricopre il ruolo di mission analyst presso Cambridge Space Technology. Nel 2003 si è unito al GAK del quale ne ha raccolto l'eredità, trasformandolo in un portale di astronomia e astronautica e promuovendo queste scienze tramite star party, corsi e conferenze.

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